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L’Italia è lo stato europeo che gestisce ogni anno mediamente il maggior numero di cause civili e penali del continente. Tali controversie investono per almeno il 50% direttamente le imprese e il loro management. La struttura societaria delle PMI italiane è notoriamente basata sulla famiglia proprietaria e su un management tendenzialmente cooptato dall’imprenditore e quindi molto preparato circa il core business di pertinenza ma ancora arretrato in materia di comunicazione e di marketing.

 

Se da un lato in questi ultimi 5 anni molto si è fatto a livello di Associazioni di categoria e di singoli imprenditori per colmare questo gap, anche grazie a forti investimenti in consulenza e riorganizzazione aziendale per dotare le PMI di adeguate strutture di comunicazione istituzionale e di prodotto, dall’altro permane ancora un buco nero rappresentato dall’assenza quasi totale di sensibilità verso la crisis communication e la crisis communication management. Le PMI ma anche le grandi imprese hanno predisposto tutti gli strumenti di tipo tecnico per fronteggiare le crisi dal punto di vista strettamente operativo (piani antincendio, piani evacuazione, recuperi ambientali, ecc..) senza però fronteggiare gli aspetti connessi alle ricadute reputazionali generate da una comunicazione mal gestita. Tenuto conto che per il 70% il processo di acquisto da parte dei clienti è rappresentato dalla fiducia e reputazione della marca , ecco che ogni colpo inferto al brand ha ripercussioni dirette e immediate sul fatturato Inoltre i manager e gli azionisti sono spesso totalmente impreparati a fronteggiare l’assalto dei giornalisti, non hanno talvolta comprensione della potenza devastante dei social media nell’influenzare gli stakeholders e nelle PMI esiste raramente una funzione che integri gli aspetti legali, tecnici e di comunicazione.

 

Eppure basterebbe un minimo sforzo per:

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• dotarsi di un Manuale di crisi ovvero di un agile strumento a disposizione dell’imprenditore e dei manager in cui per ogni possibile caso di crisi sia stato predisposto anche l’adeguato supporto e format di comunicazione (comunicato stampa, tono di voce, argomenti sensibili da trattare e da evitare, ecc..);

 

• Istituire un Crisis team formato da azionisti, management, direttore tecnico, ufficio legale e responsabile comunicazione in modo da fornire all’esterno segnali univoci e concordati;

 

• Superare il concetto di comunicazione di crisi quale argomento da rigettare quasi fosse una iattura, bensì integrarla nei percorsi formativi per i top manager quale soft skill indispensabile.

 

Una raccomandazione finale: questa lacuna culturale non deve essere trascurata, non fosse altro che per proteggere il fatturato aziendale.

 


La gestione della comunicazione di crisi è un problema e un aspetto da gestire professionalmente in azienda, la cui importanza è cresciuta esponenzialmente nell’era dei social media. Oggi è molto più facile moltiplicare l’informazione (o peggio la disinformazione) rendendo alcuni messaggi virali a prescindere dall’opportunità o correttezza etica dell’informazione stessa. Per questo è necessaria sia una formazione mirata, sia un’assistenza professionale per gestire al meglio situazioni potenzialmente molto dannose, che rapidamente possono incidere sulla web reputation. Nell’ambito dell’offerta formativa e consulenziale di GGallery, è attiva un’importante e solida partnership con l’agenzia di comunicazione A&A Communication, che tra le varie aree di sua attività ha anche una specifica specializzazione in questi ambiti. Per maggiori informazioni puoi contattare Antonello Amato, alla email amato@aeacommunication.it