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Sanità, il PNRR a rapporto

Il Piano Nazionale Ripresa e Resilienza, presentato lo scorso aprile dal Presidente del Consiglio Mario Draghi alla Camera, si propone di risollevare il Paese e di rilanciarlo, cercando di colmare le “lacune” italiane evidenziatesi con la pandemia da Covid-19.

 

Per il PNRR sono stati stanziati 221,1 miliardi di euro, di cui 191,5 dai fondi dell’Unione Europea e 30,6 di risorse interne, da impiegare entro il 2026 con l’obiettivo di ammodernare e innovare il paese, promuovendo l’integrazione attraverso la tecnologia e la digitalizzazione. Come sappiamo, il piano ha in sé sei missioni: digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo, rivoluzione verde e transizione ecologica, infrastrutture per una mobilità sostenibile, istruzione e ricerca, salute.
Sulla salute vale la pena insistere e approfondire, perché il Covid-19 ha avuto un impatto devastante, in un sistema che, malgrado sia sempre stato tra i migliori al mondo e contornato da professionisti di eccellenza, ha dimostrato di avere molti difetti che adesso più che mai vanno corretti in prospettiva futura.
Dei fondi stanzianti dal PNRR, 20 miliardi di euro sono destinati alla salute puntando su 3 aree: le Case di Comunità, gli Ospedali di Comunità e l’assistenza domiciliare. Le Case di Comunità sono presidi socio-sanitari destinati a diventare il punto di riferimento, accoglienza e orientamento a servizi di assistenza primaria di natura sanitaria. Gli Ospedali di Comunità svolgeranno una funzione intermedia tra il domicilio e il ricovero ospedaliero per sgravare l’ospedale da prestazioni di bassa complessità. Infine, l’assistenza domiciliare avrà un aumento significativo di investimenti con progetti di telemedicina proposti dalle Regioni in modo che entro il 2026 il 10% dei pazienti over 65, in particolare quelli con patologie croniche o non autosufficienti, sia preso in carico. Particolare importanza viene data all’innovazione tecnologica e alla ricerca.
Due dei grandi obiettivi che ha messo in luce Draghi durante il suo discorso alla Camera sono rafforzare la prevenzione e i servizi sanitari sul territorio e modernizzare, digitalizzando il Servizio Sanitario Nazionale per garantire a tutti un accesso equo alle cure. Possiamo dire che il primo obiettivo sia conseguenza del secondo. La tecnologia lato sensu ha raggiunto livelli altissimi e può essere il motore trainante in diversi ambiti, inclusa la prevenzione. Con lo sviluppo della telemedicina, non si vanno a riempire gli ospedali, spesso in affanno (basti pensare al periodo pandemico) ed è possibile garantire una cura adeguata e accurata del paziente. Con l’erogazione delle cure a distanza è possibile dedicarsi al paziente nel suo domicilio, con grande vantaggio per quelli più fragili, che soffrono di malattie croniche o invalidi e non autosufficienti. La soluzione ha peraltro ricadute positive in termini di protezione del paziente fragile stesso, che in alcuni casi non può vaccinarsi contro il Covid ed è esposto a un rischio maggiore di sviluppare forme più gravi della malattia.
Un approccio tecnologico integrato consente di monitorare il paziente costantemente, i suoi dati vanno inseriti all’interno del Fascicolo Sanitario Elettronico, con un accesso indipendente dall’attore sanitario, che sia il medico di base oppure ospedaliero, così da avere un aggiornamento costante e una continuità nell’assistenza che velocizza e rende qualitativo il processo di prevenzione.
Il telemonitoraggio è fondamentale anche dal punto di vista economico, perché rappresenta un notevole risparmio per il sistema sanitario grazie alla riduzione delle acuzie e quindi degli accessi al pronto soccorso derivanti da complicanze, frequenti nei pazienti con patologie croniche e comorbidità (stima di costo pari a 15 miliardi/anno).
Perché questa evoluzione digitale (e sanitaria) sia possibile e concreta è necessario che tutti gli attori all’interno del sistema sanità collaborino, dal medico di medicina generale, ai ricercatori, specialisti, infermieri e operatori socio-sanitari, in modo da avere un quadro completo del paziente. È altrettanto importante, come prerequisito, che siano adeguatamente formati alla digitalizzazione, gestione e trattamento dei dati.
Si tratta di un lavoro di squadra in cui il paziente, anche il più anziano, deve avere accesso ai suoi dati, in modo che anch’egli possa essere parte attiva e non passiva, come è sempre successo, del mantenimento della propria salute. È d’obbligo l’istituzione di una policy affinché tutte le strutture sanitarie in Italia, non solo locali, possano accedere ai dati del paziente ovunque si trovi non solo per finalità logistiche, come ad esempio un paziente che si trova in un luogo diverso da quello di residenza e ha bisogno di cure, ma anche di ricerca perché avere accesso in ogni momento ai dati dei trial clinici di pazienti con malattie rare può essere determinante. L’interoperabilità è fondamentale tra le Regioni, che devono avere a disposizione ogni mezzo per comunicare fra loro, senza differenze, annullando le distanze, fisiche e logistiche che oggi impediscono sinergie virtuose.
Un approccio olistico e di cooperazione deve allargarsi a tutti gli stakeholders della sanità, della Ricerca e dell’industria tecnologica, non solo dal punto di vista dei dati, ma anche da quello dei macchinari più avanzati e delle infrastrutture, affinché siano implementati e utilizzati in maniera ottimale. Bisogna sviluppare le nuove competenze che la transizione tecnologica richiede in continuo, ammodernando le strutture in modo che anch’esse possano essere adeguate.
Digitalizzazione e big data, telemonitoraggio, strutture all’avanguardia e macchinari altamente tecnologici necessitano di interventi infrastrutturali, ed è noto quanto l’Italia da questo punto di vista sia indietro soprattutto in aree rurali e nel Sud del Paese.
La deduzione è che l’ecosistema salute, come si propone di realizzare il PNRR grazie agli ingenti fondi stanziati, necessita di un grande lavoro di squadra, interoperabilità tra settori anche diversi, per lungo tempo distanti. Devono essere integrate culture e discipline per analizzare i vari aspetti che compongono la salute: clinici, sociali, economici, giuridici, tecnologici, informatici e telecomunicativi. Solo in questo modo si può parlare di ecosistema sanitario e non semplicemente di sistema, come siamo abituati sino ad oggi e che la pandemia ha evidenziato in tutte le sue criticità.
In conclusione, il PNRR mette in luce un aspetto fondamentale: l’integrazione, per tutti gli attori chiamati in campo, che devono collaborare in favore di un rapido, concreto cambiamento, di una comunicazione più efficace tra le Regioni e con il mondo della Ricerca, asset fondamentale di ogni Paese evoluto. Ma dobbiamo parlare anche di integrazione sociale, con il paziente al centro, consapevole del suo stato di salute e che non deve mai sentirsi abbandonato, come invece spesso accade con il paziente anziano, isolato durante l’emergenza Covid-19.
Il PNRR è un’opportunità, una grande occasione per “dimenticare” la pandemia, affrontare nuove sfide e continuare a garantire la sostenibilità economica di un sistema sanitario, il modello italiano, per tutti, ancora ricco di moltissime eccellenze.

Paolo Macrì